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ALESSIO

Rilevanza turistica
25/03/2013 14:15:49
Post di ALESSIO
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La strada si avvitava su un colle disegnando una spirale di chilometri. In cima alla salita, fra le tracce stinte di un posto di frontiera, svettava un moderno obelisco di cemento, simbolo dell’unione fra le due Germanie e ricordo indelebile di una separazione dolorosa ed ancora riecheggiante. Da quel punto in poi la cartina stradale diventava meno dettagliata. Nessuna segnalazione di rilevanza turistica. Si limitava a riportare le strade, come se nell’ex DDR non ci fosse nulla da vedere.
Effettivamente tutto cambiava. La strada proseguiva assecondando l’andamento del territorio, senza ponti né gallerie, e, nell’asfalto fratturato, vaste aperture lasciavano intravedere la vecchia pavimentazione in ciottoli di fiume. L’atmosfera irreale della foresta tedesca si stemperava nell’odore dolciastro dei campi di patate. Il sibilare delle BMW si mescolava al frinire delle Trabant, vetturette con la carrozzeria di plastica ed il motore a due tempi. Supermercati, centri commerciali, teatri, sale cinematografiche, discoteche ed alberghi trovavano posto nei colossali ruderi delle industrie di stato, mostri grigi trasformati in strutture sgargianti, capienti, vive, ma comunque inquietanti.
Il territorio dell’ex DDR era un immenso cantiere a cielo aperto, il fragore di un’operosità frenetica rombava nell’aria e dovunque si indovinavano gru e pennacchi polverosi. Spesso le strade erano interrotte per lavori, ma chiedere informazioni per percorsi alternativi era impossibile, non incontrai un solo tedesco dell’est che conoscesse l’inglese. Le donne avevano un’aria semplice e genuina, portavano in volto il pallore di una vita senza agiatezze. Indossavano grossolani abiti fiorati lunghi fino al ginocchio chiusi in vita da una stringa ricavata dalla stessa stoffa, una specie di uniforme per casalinghe.
Percorrevo un viale che attraversava l’ennesimo paesino spoglio, grigio e polveroso. Una bella ragazza, animata dal passo svelto di chi è affardellato, attirò la mia attenzione. Riuscii a scorgerla da lontano, fra la gente, e a non perderla di vista fino ad incrociarla. Indossava il solito abitino da casalinga, ma i fiori, piccoli e colorati, spiccavano sull’elegante sfondo bordeaux. In quel grigiore spiccava come il cappottino rosso della bambina di Schindler’s list. Portava una grossa cesta tenendola premuta conto l’anca con una sola mano. Il braccio libero scandiva l’incedere muliebre ed inconsapevolmente superbo delle belle creature. Quell’andatura fatta di passi brevi e frequenti metteva in moto le sue carni, e la veste, tesa dal peso sul fianco, conteneva a stento voluttà e floridezza. Era da un po’ di giorni che facevo il turista a tempo pieno, fermarmi ad ammirare tutte le meraviglie che incontravo era ormai un’abitudine. Senza neanche rendermene conto mi ritrovai fermo a guardarla manco fosse una chiesa gotica o un panorama montano, dovetti reprimere l’istinto di metter mano alla fotocamera. La ragazza decise di fermarsi a sua volta e mi guardò con una scherzosa aria di sfida. Cercai di recuperare un contegno distogliendo lo sguardo verso il nulla, senza riuscire a cancellare dal mio volto quella stupida espressione a bocca aperta da meravigliato dal mondo. Si avvicinò illuminata dal compiacimento e mi porse una pagnotta presa dalla cesta. Il pane era caldo e profumava di buono, o almeno credo, lei aveva un sorriso da bambina che avrebbe sciolto il pack e reso dolce il cianuro. Avrei voluto dirle qualcosa, ma cosa? e in quale lingua? Certo, avrei potuto ringraziarla, anche con un semplice gesto, ma lo stato di sopravvenuta demenza temporanea da tempesta ormonale me lo impedì. Lei flautò un incomprensibile saluto e mi lasciò lì, con la pagnotta in mano, portandomi via un organo interno. Ne sono sicuro perché ho avuto un senso di vuoto nel petto e nell’addome che mi è durato per molto tempo.
Ripresi a spingere sui pedali cercando di dimenticare quell’episodio nel tentativo di liberarmi dal senso di inadeguatezza che mi aveva aggredito. Dopo poco smisi di pedalare lasciando scorrere la bici per inerzia. Un lago, una panchina, la mia stanchezza, una pagnotta calda, l’emozione che ancora vibrava nello stomaco, c’erano tutti gli ingredienti per strappare qualche minuto stanziale al frenetico viaggiare di quei giorni. Mi sedetti su quella panchina aggredita dalla vegetazione spontanea, la stessa vegetazione che aveva scomposto la pavimentazione del marciapiede. L’artefice di quel piccolo disastro era una inquietante pianta lacustre costituita da rami violacei, abilissimi nell’infilarsi negli anfratti e nell’avviluppare gli oggetti per poi distruggerli per costrizione, un autentico demolitore vegetale, lento ma inesorabile. Il cielo grigio e fumoso si specchiava nell’acqua facendone un posto triste e cupo. A riva alcuni rifiuti popolati dal muschio assecondavano l’impercettibile moto ondoso e contornavano di squallore il lago meno bello d’Europa.
Mentre affondavo i denti nella fragranza del pane fresco comparve una coppia di cigni. Non saprei dire chi fosse il maschio e chi la femmina, a dire il vero non sono nemmeno in grado di escludere l’omosessualità, so soltanto che erano meravigliosi. Presi singolarmente sarebbero stati dei bellissimi esemplari, e basta, ma insieme rappresentavano uno spettacolo talmente commovente e disarmante da eclissare lo squallore che li circondava. Eleganti e maestosi, giocavano, scherzavano, si amavano, si completavano, godevano pienamente della loro vita semplice e frugale. Allungai la mano verso la borsa determinato a prendere la fotocamera per fissare quegli istanti. Nel recuperare la borraccia, che nel frattempo era caduta sotto la panchina, scorsi un fiore di dimensioni eccezionali e di straordinaria bellezza. Ero totalmente sconvolto, quello schifo di pianta distruttrice e priva di foglie aveva deciso di far sbocciare un unico, magnifico fiore nel posto meno raggiungibile e meno visibile, quasi avesse pudore di tanta bellezza. Lasciai perdere la macchina fotografica e continuai a godere di tutti i tesori che quell’angolo di mondo serbava.
Il bello è in ogni posto, e non sempre è segnalato da una cartina.

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