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ALESSIO

Fra terra e cielo
23/02/2011 14:16:08
Post di ALESSIO
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Il piano della scrivania era illuminato di sbieco dalla lampada a pantografo. Amaro lucano, gelato malaga e mio fratello, più giovane e più sereno di come lo ricordassi. Mi raccontava di un viaggio a Londra con la sua prosa fluida e beffarda fatta di illazioni che diventano verità, e di evidenze smentite dall’imponderabile. Il cielo d’Inghilterra sembra più basso, hai la sensazione di poterlo toccare alzando un braccio mi disse.
Wake up! la voce di Michael si incuneò nel mio sogno. Erano le quattro e mezza di mattina. Dormivo da sette, otto minuti. Il mix di tolleranza, accondiscendenza e comprensione che mi contraddistingue mi impedì di mandarlo affanculo. Era un caro ragazzo, un inglese di Hull che avevo conosciuto al porto di Le Havre. Era arrivato con la sua Honda 1100 XX, un bolide nero che lui chiamava time machine. Mi spiegò che quattro ore prima si trovava a Montpellier, un migliaio di chilometri più a sud. Il molo era pieno di motociclisti e c’erano anche parecchi ciclisti. Le due comunità formavano gruppi ben distinti e separati, tranne noi. Ci trovammo subito simpatici e dividemmo la cabina per risparmiare sul biglietto. La piacevole serata davanti ad una tazza di thé e pasticcini al burro non lasciava presagire la nottataccia. Dire che Michael russava è un eufemismo, ragliava come un somaro della barbagia. Provai a svegliarlo: scossoni, ciabattate, pizzicotti, sputi, avrei potuto espiantargli un rene senza ottenere un attimo di silenzio.
Avevo ancora i neuroni allo stato brado quando Michael mi invitò a guardare fuori. Era tutto bianco, ebbi l’impressione che l’oblò avesse il vetro satinato. Una volta ripristinate le sinapsi, però, indovinai la sagoma del molo a non più di due metri. What is this? Fog, english fog! Vedevo la nebbia per la prima volta. Quella che giù in Puglia chiamiamo nebbia dalle parti di Portsmouth si chiama leggerissima foschia. I minuti passavano ma la sensazione di spossatezza no. La stanchezza era naturale conseguenza della notte in bianco ma il mal di ossa era davvero insopportabile. All’ennesimo giramento di testa mi portai una mano alla fronte, sentii che scottavo. Restai lì, fermo, mentre il traghetto ribolliva di attività. Michael cercò a più riprese di smuovermi dal torpore, inutilmente. Poi la sirena del traghetto mi infuse un senso di impellenza e lasciai che la concitazione del momento mi coinvolgesse. Mi rivestii con i movimenti di un automa.
Febbricitavo nella stiva quando aprirono il portellone. Una nebbia densa come zucchero filato invase l’enorme pancia del traghetto inghiottendo auto e camion. Percorsi il tunnel di luce. Mi resi conto di essere uscito dalla nave solo quando l’agente della dogana mi chiese i documenti, le porsi la carta d’identità barcollando. I’m in desease... i have fever... please, help me Era una graziosa ragazza che indossava la divisa in modo impeccabile, o almeno è quello che mi pare di ricordare. Fatto sta che mi fece cenno di proseguire per lasciare strada a chi sopraggiungeva. Percorsi una decina di metri senza trovare la forza di risalire in bici. Mi voltai per riprovare a chiedere aiuto, non trovai nulla. La nebbia aveva inghiottito tutto. Mi rassegnai a proseguire in quel mondo al contrario dove la cecità è luce, dove l’aria ha un corpo e il resto è ombra.
Procedevo ai cinque orari affidandomi al cordolo reso ben visibile dalla colorazione a strisce bianche e rosse. Non avevo neanche la più pallida idea di dove stessi andando. Avevo la cartina, si, ma per strada non c’era un’indicazione, neanche una, e mi sentivo mancare. Che ci faccio qui? Che faccio adesso? Come esco da questa situazione? Sono tante le domande che girano in testa quando ti senti perso. Nel frattempo il cordolo aveva lasciato il posto ad un normale ciglio di strada molto meno visibile. Mentre cercavo di ricostruire i riferimenti visivi un boato squarciò la nebbia. Ne venne fuori il muso di un camion contro mano che mi sfiorò. Passò talmente vicino da toccarmi il braccio sinistro. Il clacson risuonò furibondo per molti metri. Ero stordito e incredulo, non avevo visto nessuno alla guida di quel camion. Passò un’auto, anche questa contromano, la guidava un bambino di due o tre anni. In preda all’ipertermia, alle allucinazioni, alla stanchezza ed allo scoramento mi inoltrai in un campo arato. Srotolai il sacco a pelo e mi infilai al calduccio.
Le volute di nebbia aleggiavano lente, come anime in pena, ebbi la sensazione che anche la mia volesse abbandonarmi per unirsi alla processione Che cazzo di posto mi sono scelto per tirare le cuoia! Al risveglio il mondo mi sembrò un posto più accogliente, furono sufficienti pochi secondi per esorcizzare i fantasmi di un’ora prima. Ero in Inghilterra, dove si tiene la sinistra e il posto guida è a destra. In realtà quello contromano ero io. I guidatori c’erano, e se avessi guardato sul sedile affianco li avrei visti. C’erano anche le indicazioni, bastava guardare il lato giusto del cartello.
Mi risvegliai pigramente con un sorriso inestinguibile. Gli occhi che non volevano aprirsi, stanchi del bagliore della nebbia e della sua continua elusione. Poltrii, restai al caldo del sacco a pelo in mezzo a quel campo di terra smossa e profumata, in mezzo alle mie nuove, rassicuranti consapevolezze. Ero ancora sdraiato quando aprii gli occhi. Mi trovai un muro davanti. La nebbia era sospesa a cinquanta centimetri da me e formava un pannello compatto. Potevo vedere mezza bici, le ruote delle auto che correvano sulla strada. La visibilità fino a mezzo metro di altezza era perfetta, uno spettacolo surreale. Tirai fuori una mano dal sacco a pelo ed l’affondai nella coltre nebbiosa, nella nuvola Il cielo d’Inghilterra sembra più basso, hai la sensazione di poterlo toccare alzando un braccio

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